Il Vermouth è uno dei prodotti più rappresentativi della tradizione enologica e liquoristica piemontese. Nato ufficialmente a Torino alla fine del Settecento, il suo nome deriva dal termine tedescoWermut, ovvero assenzio: pianta amara e tonica che ne è da sempre l'ingrediente distintivo. Ma già nel Medioevo si trovano testimonianze di vini aromatizzati con erbe officinali, impiegati a fini medicinali nei monasteri o come conservanti naturali.
Torino: erbe, alchimia e sapienza liquida
Nel 1563, quando Emanuele Filiberto trasferisce la capitale del Ducato di Savoia da Chambéry a Torino, dà il via a una trasformazione culturale che segnerà il destino della città. Appassionato di alchimia, chiama alla sua corte Paracelso e altri studiosi del tempo e chiede di piantare l’artemisia a Venaria Reale.
Nel 1583, Carlo Emanuele I promuove un editto che garantisce l’esenzione fiscale a chi avvia attività legate alle erbe. Torino si popola di speziali e liquoristi, e la fama dei suoi distillati si diffonde. Nel 1729 nasce l’Orto Botanico; nel 1736 si pubblica la Pharmacopoeia Taurinensis, che già contiene ricette di “vini all’assenzio”.
Il Vermouth nasce dentro questo humus culturale: è una creazione della scuola torinese, prima ancora che un prodotto.
Dal rimedio al rito
Nel 1739 nasce l’Università dei Confetturieri e Acquavitai: tra i suoi iscritti futuri ci sono nomi destinati a entrare nella leggenda – Cinzano, Gancia, Campari. Nel 1784 la Regia Accademia di Agricoltura, avvia le prime ricerche sistematiche sull’assenzio e ne identifica in Pancalieri – piccolo comune della piana del Po – il terroir perfetto.
Con l'Ottocento, il Vermouth cambia funzione e pubblico, con Torino centro creativo e produttivo: da tonico domestico a bevanda borghese, da rimedio a rito. Si racconta che il successo iniziale di queste nuove bevande aromatizzate sia nato proprio nelle sale frequentate dalla nobiltà sabauda: in particolare tra le dame di corte, che ne apprezzano la morbidezza e l’eleganza. Quel favore femminile contribuisce a sdoganare il Vermouth nei salotti torinesi, facendolo diventare oggetto di conversazione e condivisione.
Da lì, la diffusione è rapida: il vermutin del tardo pomeriggio prende piede nei caffè cittadini, segnando l’inizio di una vera e propria stagione d’oro. Una cultura del bere nuova, urbana, rituale, che vede la nascita dei primi grandi marchi industriali e la consacrazione del Vermouth come emblema dell’aperitivo italiano.
Evoluzione, export, trasformazioni
Nel 1838 il Vermouth è già esportato: l’Argentina ne assorbe più della metà. Nel 1853 l’apertura della ferrovia Torino–Asti–Genova accelera il commercio.
Negli stessi anni cambia anche la ricetta. Fino a fine Ottocento, il Vermouth era prodotto con 100% Moscato d’Asti, ma con la crescita della spumantizzazione e i limiti dell’autarchia fascista, il Moscato diventa sempre più raro. Si inizia a bilanciarlo con vitigni neutri come Cortese, Trebbiano, Bombino e Cataratto.
Nel 1906 Strucchi pubblica un importante rapporto sulla gradazione alcolica ottimale del Vermouth in funzione della spedizione: mai sotto i 16% vol., per garantire la stabilità del prodotto in viaggio. È lo stesso principio che, nel 1935, viene recepito nel primo regolamento ufficiale del Vermouth di Torino, firmato da Mussolini e Vittorio Emanuele III. Viene imposto l’uso esclusivo di vino italiano, una gradazione minima di 15,5% e un processo regolato che anticipa l’attuale disciplinare.
Oggi, pochi produttori hanno scelto di onorare questa storia con coerenza e sobrietà. Scarpa è tra questi: non solo per la fedeltà alle materie prime piemontesi e ai metodi storici, ma per una filosofia che riconosce nel tempo – e non nell’effetto – la vera cifra del Vermouth.
SCARPA E IL VERMOUTH
Nel solco della tradizione piemontese, Scarpa inizia a produrre Vermouth già negli anni Venti. Sin dall’inizio, la cantina – allora come oggi – affianca alla produzione vinicola una riflessione più ampia sulla trasformazione del vino, inteso anche come matrice per infusi, elisir, liquori.
Antonio Scarpa inaugura questa vocazione con una propria ricetta, poi ampliata da Mario Pesce e dal padre Pasquale. Negli anni Trenta e Quaranta viene creata una vera e propria sezione produttiva dedicata, attiva fino agli anni Settanta.
Dopo una lunga pausa, oggi il Vermouth è nuovamente nella gamma aziendale: le antiche ricette sono state ricostruite con rigore, aggiornate solo laddove necessario e reinterpretate con sobrietà, mantenendo intatta la coerenza con lo stile Scarpa.
La volontà, fin dall’inizio, è stata quella di recuperare lo spirito originario del Vermouth piemontese. Per farlo, si sono studiati i testi di riferimento tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento – Antonio Rossi, Castoldi, Cotone – ma soprattutto Arnaldo Strucchi, che nel 1907 definiva il Vermouth “un vino amaricante, speziato, ma mai tagliente, né eccessivo”. Da qui l’idea di costruire un bouquet aromatico complesso, dove nessuna nota sovrasta le altre, ma tutte concorrono a una sensazione armonica, elegante, continua.
Il processo
Il metodo di produzione riflette questa filosofia. Tutto parte da una macerazione a freddo delle piante essiccate, che vengono lasciate riposare per 20-30 giorni in una soluzione idroalcolica al 30% di gradazione. Le materie prime provengono in larga parte da Pancalieri, nella piana del Po, dove si coltivano da secoli artemisia (romana, pontica e gentile), camomilla, menta piperita, lavanda, e molte delle erbe che compongono il cuore della ricetta Scarpa.
Dopo la macerazione, l’estratto – la cosiddetta “concia” – viene miscelato al vino, che costituisce il 75% del prodotto finito.
Per il Vermouth Rosso, la colorazione è affidata esclusivamente allo zucchero bruciato, ottenuto a 160 °C. Una pratica storica, tornata in uso dopo l’abbandono del caramello solfito ammoniacale (150D), più concentrato ma meno naturale. Lo zucchero bruciato dona al Vermouth non solo un colore più vivo e brillante, ma anche un leggero contributo gustativo, con note tostate e un effetto edulcorante delicato.
A questo punto il prodotto viene stabilizzato a freddo: portato a –8 °C e poi lasciato risalire lentamente fino a zero, in un processo che dura circa una settimana. Questo passaggio consente la separazione dei tartrati, che si depositano sul fondo, e degli oli essenziali in eccesso, che salgono in superficie. Il risultato è un Vermouth limpido, stabile e ben bilanciato, che viene infine filtrato – in due passaggi, il primo tramite farine fossili – e imbottigliato.
Le tre espressioni del Vermouth Scarpa
Tutti e tre i Vermouth Scarpa sono classificati come Vermouth di Torino, denominazione che garantisce l’utilizzo di vini e botaniche piemontesi, nel rispetto delle pratiche tradizionali.
Scarpa ne propone tre versioni, diverse per profilo aromatico, struttura ed equilibrio tra dolcezza, erbe e alcol:
Rosso: ampio, stratificato, con note speziate e avvolgenti.
Bianco: floreale, agrumato, sorprendentemente persistente.
Superiore Extra Dry: secco, incisivo, dall’anima erbacea e verticale.